Lo so tu non hai bisogno dello psicologo, ma potresti aver bisogno di capire perché tu non sei i tuoi pensieri e che la parole non fotografano la realtà.
siamo solo ciò che pensiamo?
Quanto credi a ciò che pensi? È esperienza comune quando abbiamo dei pensieri particolarmente ricorrenti, prenderli alla lettera. Siamo convinti che essi catturino la vera essenza delle cose. Siamo certi che in modo quasi perfetto rappresentino la realtà, che la fotografino in modo fedele e che le emozioni che sentiamo a essi collegati siano anch’esse vere.
In un certo senso ci fondiamo con questi pensieri, noi diventiamo i nostri pensieri e dimentichiamo ciò che essi sono in realtà.
Solo pensieri, appunto. Ma lo scordiamo facilmente e ci convinciamo che essi siano veri.
So che è difficile così su due piedi, credere a quanto letto, come è possibile credere che ciò che pensiamo attraverso le parole tanto spesso non sia anche vero? Sarà difficile inizialmente farlo, ma approfondendo il tema ti renderai conti che le parole non sono in grado di catturare l’ampiezza e la complessità della realtà.
pensieri fedeli e pensieri infedeli
A dire il vero alcune parole ci riescono. Sto parlando delle parole che descrivono le proprietà fisiche di oggetti, per esempio se ti dicessi che un tavolo è marrone, quadrato e di legno queste parole riuscirebbero a cogliere piuttosto fedelmente l’essenza di quell’oggetto.
Ma se ci allontaniamo dalle parole che descrivono proprietà fisiche, scopriamo che altre tipologie di parole possono ingannarci. Pensa alla parola "sbagliato", questa parola tenta di valutare, giudicare o esprimere il valore di un oggetto, di una persona o di una parte della tua vita.
Immagina di sentir dire da un tuo caro amico che qualcuno che conosci è una persona "cattiva". Pensa a quanto velocemente quella parola finirà per orientare quello che pensi di quella persona e di come questo cambierà drasticamente il modo in cui tu interagirai in seguito con lei. Ti rendi conto di quanto una sola parola abbia potere?
Bastano queste sette lettere poste in sequenza, che formano un concetto astratto, per trasformare il modo in cui vedrai e tratterai una persona.
Questo vale anche al contrario, prenditi un minuto o due per ricordare uno dei momenti più belli della tua vita. Cerca di rievocare il maggior numero di dettagli possibile. Ricostruisci le immagini, i suoni, chi c'era, cosa stavi facendo, cosa provavi. Ora scegli delle parole con cui descriveresti a qualcuno esattamente com'era vivere quel momento. Quelle parole riuscirebbero a descrivere in pieno quel ricordo? Non credo.
i bambini non si fidano delle loro parole
Ma non è stato sempre così per noi. Se per esempio osservi dei bambini molto piccoli che interagiscono con un oggetto per loro nuovo, noterai come essi prestano grande attenzione ai suoi dettagli: quali colori abbia, che sensazioni gli provoca al tatto, cosa succede quando cade, e così via. I bambini hanno bisogno di manipolare l'oggetto per conoscerlo, non basta conoscerne il nome.
Crescendo invece diventiamo soddisfatti di imparare semplicemente il nome di un nuovo oggetto per pensare di conoscerlo, come se conoscere il nome di qualcosa significasse capire esattamente cosa esso sia e come funzioni.
IL BUONO E IL BRUTTO DEL LINGUAGGIO
Attenzione questo non vuol dire che le parole siano inutili. Senza le parole, questo articolo, o qualsiasi libro, non esisterebbe. Tutta la nostra conoscenza, non sarebbe stata trasmessa da una generazione alla successiva. Il linguaggio ci permette di creare una mappa del mondo e ci permette di dare senso alle cose.
Questo è il lato positivo del linguaggio, ha dato alla nostra specie un vantaggio evolutivo in quanto il linguaggio ci consente di classificare, valutare e analizzare le cose, di immaginare cosa potrebbe e cosa dovrebbe essere e di agire di conseguenza per trasformare quelle ipotesi in realtà. E' questa sua utilità, generare ordine nel caos e creare modelli prevedibili di comportamento.
Ma c'è anche un lato oscuro nel linguaggio. Abbiamo appreso a classificare, valutare e giudicare gli eventi che accadono in modo molto rapido. Ma se questo va bene per eventi fisici e proprietà fisiche delle cose, risulta essere inadeguato quando si tenta di utilizzarlo per cogliere esperienze complesse come le cause del comportamento umano, per raffigurare i nostri vissuti e le nostre emozioni. Il linguaggio è una traduzione di esperienze fatte con altri sensi, che non sempre riesce a tradurre fedelmente.
l'autostrada dei pensieri negativi
E la cosa preoccupante è che siamo molto bravi a farlo sopratutto quando dobbiamo valutare le cose in modo negativo. Per un discorso collegato al massimizzare le nostre probabilità di sopravvivenza, la nostra mente si è sviluppata dando priorità ai pensieri negativi. Ne formula di più e ce li fa percepire come più veri. Ti basterà provare per un minuto provare a guardarti intorno e osservare le persone. In breve tempo per ognuna di loro sorgerà un pensiero negativo, magari saranno i capelli, i vestiti che porti, sarà la voce. Non importa, ci sarà sempre qualcosa che ti susciterà un pensiero negativo.
E questo non vale solo con gli altri. Quante volte avuto pensieri critici su te stesso, sul tuo lavoro o sulla tua vita. Pensa alle volte in cui hai pensato di essere “sbagliato”, “non adatto” o diverso da ciò che “dovevi essere”. Il linguaggio ci ha trasformati in macchine valutative e categoriche senza alcun "interruttore" e senza possibilità di spegnerci.
Sembra che per noi sia impossibile non pensare. Hai mai provato a bloccare il flusso dei tuoi pensieri? A rimanere nel silenzio? Ti assicuro che senza una forma di pratica specifica è quasi impossibile. In pochi secondi la tua mente tornerà a gettare nel flusso della tua coscienza pensieri, pensieri di tutti i tipi. La tua mente non ama il silenzio, non ama rimanere sola, vuole tua attenzione.
un atto terapeutico mediante la defusione cognitiva
Ma cosa possiamo fare allora per liberarci dal peso delle parole? Da un punto di visto terapeutico ci sono diverse strada. Una strada è quella di cercare di cambiare le parole che causano problemi, utilizzando parole più accurate rispetto la realtà.
Un altro modo, che io preferisco, è quello di compiere esperienze "esperenziali", ossia svolgere degli esercizi che consentono di toccare con mano, quanto le parole siano sole parole. In particolare questo metodo si basa sulla defusione cognitiva (Hayes e Strosahl, 2004). La defusione cognitiva è un nome relativamente nuovo per un strumento molto antico, uno strumento che è fondamentale nella terapia dell'accettazione e dell'impegno, così come nella tradizione della pratica della consapevolezza che risale a più di duemila anni fa. Nel quadro della terapia dell'accettazione e dell'impegno tale strumento viene definito in modo letterale “deliteralization” e con tale definizione si vuole trasmette in modo diretto il senso più profondo del principio su cui opera.
Lo scopo degli esercizi di defusione cognitiva è quello di farti provare attraverso l'esperienza ad apprendere la capacità di distaccarti dai tuoi pensieri e cominciare a vederli per ciò che sono. Solo pensieri.
Puoi trovare qui sul mio blog o sul mio canale Youtube, diversi esercizi basati su questo principio che puoi provare a fare per cominciare a prendere consapevolezza di questa straordinaria esperienza.
Grazie per aver condiviso con me questo viaggio nell’universo della mente umana. Se ti piace questo progetto puoi supportarlo seguendomi su Instagram e Spotify. Tu non hai bisogno dello psicologo, ma io ho bisogno di te.
Info sull'autore
Mi chiamo Marco Borgese e sono uno psicologo, PhD student presso l’Università degli studi di Salerno, psicoterapeuta ad approccio strategico integrato e sono certificato come practitioner EMDR ed esperto in Mindfulness MBSR.
Collaboro come mental coach con atleti di alto livello, troverai nel sito alcune testimonianze, collaboro inoltre nell'atletica con la velocità delle Fiamme Gialle e la Vero Volley, mentre in passato ho collaborato con la Stella Azzurra basketball.
Sono docente presso il corso Uefa Pro dell'Università del calcio di Coverciano, nel Master in psicologia digitale di Idego e nel Master Giunti in psicologia dello sport.